ORVINIO

Provincia di Rieti
Abitanti: 449
Superficie kmq 24,55
Altitudine m 830
 
 
Il toponimo. La storia
Meglio lasciare agli studiosi la composizione della lunga disputa circa la collocazione geografica dell’antica Orvinium, da taluni voluta nei pressi dell’odierno Corvaro, da altri nel luogo in cui sorge Moricone, da altri ancora dove attualmente è posta Orvinio. Basterà ricordare che il paese, al limitare della provincia di Rieti, s’è chiamato Canemorto fino al 1860, assumendo quindi l’attuale nome. Invero, stando alle spiegazioni del toponimo deposto nel XIX secolo, Orvinio aveva già questo nome fino all’invasione saracena, sicché il nome di Canemorto sarebbe stato una parentesi, ancorché molto lunga, fra l’Orvinium romana e l’Orvinio attuale. Una certa curiosità suscita il nome di Canemorto sulla cui origine si avanzano due ipotesi. In questo luogo, infatti, i saraceni patirono un’atroce disfatta da parte di Carlo Magno. Il Palmegiani, citando una rivista storica del 1842, sostiene che dopo questo episodio la località avrebbe preso “il nome di Canimorti”, con evidente riferimento ai predoni uccisi. Ma c’è anche una seconda spiegazione che fa nascere il toponimo dal grido di sollievo del popolo — “il cane è morto!” — levato gioiosamente alla morte di un antico e odiato tiranno del luogo.
Orvinio sorge su un colle, ai piedi di un castello ben conservato malgrado la sua trasformazione in residenza patrizia. Risalente al XVI secolo, la rocca è appartenuta ai Berlingeri-Orsini, quindi al senatore Filippo Cremonesi ed alla famiglia Malvezzi-Campeggi. La costruzione è posta su un sito roccioso: vi si entra attraverso un imponente portale, aperto in una torre cilindrica, dal quale si accede all’ampio parco circostante il maniero.
Il centro degrada ai piedi del castello, a dominare valle e rilievi. Al suo interno “scale che scendono, salgono e sbucano dappertutto. Quasi camminamenti — scrive Livio Jannantoni — di una piazzaforte in piena regola. Le case, tirate su a rustici blocchi di pietra, confermano questo carattere”.
Lungamente dominato dai benedettini di Santa Maria del Piano, il centro è stato successivamente possesso degli Orsini, dei Muti e, con il titolo di ducato, dei Borghese. Durante il dominio pontificio èstato sede di governo per passare poi alle dipendenze del vescovo di Tivoli. Nel 1861 Orvinio divenne capoluogo di maridamento nel circondano di Rieti.
 
Il patrimonio artistico
Autentica gloria di Orvinio è il pittore Vincenzo Manenti, attivo nel XVII secolo, la cui casa natale è contrassegnata da una lapide-ricordo. Il Manenti ha lasciato in questo centro pregevoli testimonianze della propria opera pittorica nella Chiesa della Madonna dei Raccomandati: San Francesco che riceve le stimmate e altri santi; le Virtù teologali e le Virtù cardinali; gli affreschi di una cappella raffiguranti lo sposalizio di Maria e un San Rocco col committente; in un’altra cappella, ritratti di persone della famiglia Basilici. La chiesa, in origine annessa ad un convento, sede della confraternita del Gonfalone, custodisce anche la tela dell’altare maggiore, raffigurante la Madonna dei Raccomandati, un seicentesco ovale con Sant’Andrea e la coeva tela di scuola romana con la Madonna del Rosario. Altra chiesa di rilievo è la cinquecentesca San Nicola, ricostruita in stile barocco, già parrocchia e vicaria di Santa Maria del Piano.
 
Santa Maria del Piano
A circa due chilometri dal paese, verso Pozzaglia, si trovano gli imponenti resti della Chiesa e del Monastero di Santa Maria del Piano (che la leggenda vuole fondati da Carlo Magno in segno di gra­titudine per la vittoria conseguita sui saraceni) che insisterebbero su preesistenti strutture.
Sorta probabilmente nell’Xl secolo Santa Maria del Piano andò crescendo d’importanza fino al XII secolo, iniziando poi nel successivo un processo di decadenza, lento ma inarrestabile, conclusosi nel secolo scorso, quando il monastero risultava ancora abitato, sia pure da un solo frate dell’ordine eremitano. Abbazia dei benedettini, elevata a commenda da Leone X, mostra ancora nei ruderi l’artico splendore della costruzione. La chiesa, completamente priva di copertura, presenta una facciata a capanna, nell’alto della quale stava un rosone ora scomparso. Sottostante al rosone, una finestra romanica finemente ornata, ai lati della quale si trovano due lesene con capitelli corinzi fiancheggiate da tre archetti ciechi. Il portale quattrocentesco che ha sostituito l’originale è sormontato da una lunetta del XV secolo. L’interno è a croce latina, ad unica navata, con abside semicircolare sopraelevata. La navata era separata dal transetto mediante quattro arconi poggianti su robuste semicolonne, una delle quali sopravvive. Bella la torre campanaria del XlI secolo con finestre monofore, bifore e trifore ornate da colonnine in pietra bianca e con numerosi elementi decorativi incastonati. Sia la facciata che l’interno hanno subìto notevoli rimaneggiamenti attraverso il tempo. Certi sono gli interventi del presbitero Bartolomeo nel 1219, ricordati in una iscrizione sulla facciata, e quelli operati nel 1953 a seguito dell’ultimo crollo verificatosi nella struttura abbaziale. Nelle stesse condizioni di deplorevole abbandono è l’annesso convento, di indubbia rilevanza monastica e storica, anche a causa dei suoi vastissimi possedimenti.